Il mantra è uno strumento verbale al quale vengono attribuiti vari poteri: è una formula, una litania, che viene ripetuta allo scopo di convogliare energie positive o di ottenere anche benefici terreni.
La traduzione esatta del termine Mantra è difficile, ma gli studiosi comunque concordano sull’origine composita del nome, formato dalla radice sanscrita man (da cui anche il termine manas, da mettere in parallelo con il latinomens, mente) e dal suffisso tra, che indica uno strumento (come in yan-tra, macchina, o tan-tra, telaio). In linea di massima può essere tradotto quindi come strumento per pensare, ma soprattutto come strumento di liberazione della mente. Secondo la tradizione indiana, la sua ripetizione ritmica aiuta infatti a raggiungere l’equilibrio, a trovare dentro di sè la parte buona, l’energia vitale, e ad avvicinarsi così al divino insito in ogni essere vivente; il loro uso varia a seconda delle tradizioni spirituali o delle varie scuole filosofiche, ma vengono principalmente utilizzati come amplificatori spirituali, parole e vibrazioni cioè che inducono nei devoti una graduale concentrazione sull’essenza dell’Assoluto.
I Mantra vengono tuttavia utilizzati a volte nella speranza di accumulare ricchezze, evitare pericoli o eliminare nemici, cioè in sostanza come incantesimi, formulemagiche. Originati in epoca vedica e generalmente derivati da versi dei Veda,oggi sono popolari anche in diverse e moderne pratiche spirituali che si rifanno seppur spesso in modo impreciso alle antiche religioni Orientali, mentre il termine stesso ha acquisito valenza universale col significato generico di litania.
La recitazione, Japa, del Mantra può essere praticata ovunque e in qualsiasi momento, perchè è sostanzialmente uno strumento di rilassamento del pensiero, che consiste nella ripetizione continua della formula prescelta, di solito in cicli di multipli di tre, il più popolare dei quali è il 108. Allo scopo di tenerne il conto, gli Induisti usano il mala, corrispondente al Rosario della religione cristiana o alMisbaha musulmano, contenente 108 grani più una perla principale, chiamata Meru, la montagna mistica. Una volta raggiunte le 108 ripetizioni, se si desidera continuare con un altro ciclo, in genere si torna indietro senza attraversare il Meru e si ricomincia.
Ogni mantra racchiude in sè sei concetti: il Rishi, ossia il veggente, l’antico maestro che ha percepito il mantra attraverso la meditazione profonda, che l’ha comunicato ai suoi discepoli e al quale prima di iniziarne la ripetizione si rende omaggio; il Raga, che è il suono o sequenza di suoni modulati nella recitazione (è importante non modificare la vibrazione del suono, parte integrante della formula); il Devata, la divinità che presiede il mantra; il Bija, seme, poichè si considera che il mantra abbia potere di autorigenerazione; c’è poi il Kilaka, il pilastro, che è l’invocazione della forza di volontà, ciò che serve per ripetere continuamente il Mantra senza perdere la concentrazione, e infine la Shakti, la consapevolezza o Madre Divina, che rappresenta l’energia dinamica che si manifesta nel Mantra stesso come forza generatrice.
I Mantra si dividono in due gruppi: quelli personali e quelli impersonali. I primi si riferiscono all’aspetto personale della divinità che si è manifestata sulla terra, mentre i Mantra impersonali si riferiscono all’aspetto trascendentale della divinità come Assoluto o Realtà Ultima. Questo aspetto è strettamente legato alla teoria vibratoria, secondo la quale l’intero mondo sarebbe costituito da vibrazioni. Tutto ciò che è nel mondo sarebbe in sostanza energia che vibra: le vibrazioni più basse vengono percepite dai sensi, ma via via che salgono di livello vengono percepite solo come emozioni o stati mentali. La vibrazione simbolo di questo aspetto impersonale della divinità è la sillaba OM (AUM) che viene recitata anche da sola e costituisce il primo e più importante dei Mantra, cioè il suono primordiale.
Un Mantra generalmente esordisce invocando il nome di una divinità: Om namah Shivaya (Aum, mi inchino a Te, oh Shiva), Om namo Narayanaya (mi inchino a Te, Narayana), Om Shri Ganeshaya Namah (Aum, mi sottometto al Signore Ganesh) etc. oppure per esempio come in quello antichissimo che accompagna il classico saluto al sole, Gayatri o Savitri Mantra, considerato coincidente con la divinità creatrice stessa, e che dopo l’Om prevede che la formula nota come Mahavyahrti, o Grande Enunciato – Bhur Bhuvah Svah – con la quale si invoca la dimensione terrena, quella intermedia e quella celeste, preceda il Mantra propriamente detto.
Il Mantra è dunque in sostanza una combinazione di sillabe sacre formulate secondo una metrica poetica ben definita e che attraverso il loro suono evocano un nucleo di energia considerata ultraterrena, la cui funzione è quella di attrarre le vibrazioni spirituali insite nel creato affinchè possano essere focalizzate e condivise dal fedele, ma che possono anche avere delle caratteristiche in comune con le formule magiche, ossia quelle di trasformare il desiderio e la volontà umana in azione. In India, in origine la parola scritta fu considerata nettamente inferiore, rispetto all’espressione orale e cantata e i Brahmani conservarono quindi le sacre rivelazioni vediche tramandandole solo ai loro discepoli attraverso formule mnemoniche molto efficaci. Tuttavia, con l’avvento delle scuole Indù di Yoga, Vedanta, Tantra e poi Bhakti, il mantra entrò a far parte delle pratiche religiose di tutti i fedeli, mentre il Buddhismo sviluppava un suo proprio sistema di conoscenza dei Mantra, che pur essendo molto simile a quello Induista, possiede caratteristiche proprie, regionali e di scuole di pensiero.
Fonte: Storia delle Religioni, ed. Laterza.
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